giovedì 8 dicembre 2016

Dawn.


*Quaderno di Cole, pagina 34*


All'inizio pensavo che avrei provato indifferenza. Non era difficile da provare, come sentimento. E' praticamente l'unica cosa che Lui mi ha insegnato a provare, in questi ventitrè anni. 
Quando ho posato la mia mano su quella maniglia, ero veramente convinto che avrei provato solo indifferenza.
Con il senno di poi, stavo solo illudendo me stesso. Non era mai stata indifferenza, non verso di loro. 

Era accondiscendenza. Era evitamento. Era paura.  Solo per questo ho fatto tutto quello che volevano, in questi anni.


Ma, allo stesso modo, quello che ho provato quel giorno in quella stanza non ha niente a che vedere con loro. Lo è, ma allo stesso modo non lo è. E' difficile da spiegare e ancora più difficile metterlo per iscritto. Ma devo farlo o lo dimenticherò. Devo scriverlo o commetterò lo stesso errore che ho fatto anni fa.

Hanno evitato ogni cenno alla Scuola. Il tacchino era già pronto e Matilda, la domestica, non era in cucina. Con il senno di poi, anche loro se l'aspettavano. Devono averla allontanata perchè sapevano che sarebbe successo. O mi sto solo illudendo e il motivo era soltanto non far vedere lo sporco figlio Mutante, di ritorno a casa. Anche qui, forse non importa.


Mia madre ha dovuto fingere la sorpresa. Dall'esterno non si è visto e mio padre non l'ha sicuramente capito. Ma io e lei sappiamo, che ha dovuto fingere. E' stata lei a spiegarmi che era una fase adolescenziale, che sarebbe passata crescendo. E per lei è stato veramente così. Per me no.


Mio padre... fu quando il piatto cadde a terra che quella finzione di indifferenza andò via, per me e per lui. Per lui, diventò rabbia e delusione. Per me, diventò semplicemente appagamento. Non per mio padre: è stato molto peggio quando ha scoperto il gene mutante in me. Ma quella volta non ero solo, in quel biasimo. Era colpa sua. Era anche colpa sua. Come mi aveva cresciuto aveva influito, sicuramente, in qualche modo. Il gene mutante era nel mio corpo e non potevo ignorarlo. Questo invece, era possibile ignorarlo. Ma avevo scelto di non farlo. Era questa la sua più grande delusione.

Appagamento. Non l'avevo mai provato di fronte a loro.
Non era solo questo, ovviamente. La paura, la rabbia, la tristezza, il dolore erano tutti mischiati in un'unica sensazione ovattata.  Ma non avevo mai provato appagamento davanti alla rabbia di mio padre.


Perchè ero felice e triste allo stesso tempo? Perchè ad ogni parola che si avvicinava di più allo spezzare il legame tra me e loro la tristezza e la felicità lottavano per prendere il posto nel mio cuore?

Non aveva niente a che fare con loro e allo stesso tempo lo aveva. 


Con chi ero arrabbiato? Con loro o con il me bambino che ancora mi frenava?
Da chi ero deluso? Da loro o dal me adolescente che voleva ancora scappare?

Quel centimetro di me, così piccolo ma così fondamentale, era finalmente scoperto.
Loro avevano deciso di non averci niente a che fare. 

Ma io? Cosa avevo deciso di fare? Cosa avevo deciso di provare? Quanto le mie emozioni dipendevano da loro e quanto invece da me stesso?

Devo ricordarmelo. Devo ricordarmi che non è per loro che ho finalmente parlato. 
Altrimenti cadrò di nuovo nell'indifferenza. E questa volta, con lui vicino, non posso più permetterlo. 

Non voglio più permetterlo.

Mio padre urlava, ma non mi guardava. Mi disse di andarmene e di non tornare mai più. E l'indifferenza che pensavo avrei provato non esisteva più, quando ho toccato per l'ultima volta la maniglia della porta. C'era il miscuglio di emozioni, c'era l'appagamento e c'era il suo volto.


"E' l'ultima volta che varchi questa porta, Cole. Ricorda, è la tua ultima possibilità di renderti conto del male che stai facendo."

"No, papà. E' la tua ultima possibilità, non la mia."

E poi, il silenzio.

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