mercoledì 26 aprile 2017

Codardo.

Cole arriva all'interno della propria camera appena in tempo per evitare le persone che stanno per scendere. E' bagnato dalla cima ai piedi, un dolore pulsante che gli pervade il petto. I vestiti sono fradici e non ha neanche la forza di toglierli in questo momento, mentre sente dietro di sè i passi dei professori e degli studenti andare avanti per il corridoio.

"Codardo."
"
«N-no... Ti prego... Ti.. Ti prego...» 
"«COLE! NO!» 

Si mette le mani sopra le orecchie, cercando disperatamente di non ricordare, di non evocare nessun suono, di non pensare a niente. A nulla. Il silenzio, che ha tanto desiderato. Ma le parole continuano ad arrivare e i ricordi scorrono dentro la sua testa, uno dietro l'altro. Luke. La cameriera. Il fucile a pallettoni. 
Le sue mani intorno alla sua gola.

"Cosa si prova a essere un eterno codardo, Cole Morgan?" 

Le sue mani intorno alla sua gola.

Si tappa ancora più forte le orecchie, cercando disperatamente di non ripensare al posto dal quale è appena fuggito. Alle parole di Abe dentro la sua testa che continuano a riemergere dai suoi ricordi. All'urlo di Luke e alle parole terrorizzate della ragazza sotto le sue mani, mentre prega semplicemente per la sua vita.
<Smettila...Smettila...> Ripete stile mantra, avvicinandosi alla scrivania, le mani ancora pressate sulle orecchie.

"Codardo. Ad affidarti sempre a chi è più forte di te. A lasciare che siano gli altri a sudare. Sempre in seconda fila, mai a rischiare per primo. "

<Non è vero. Non è...vero.> Non sa neanche lui a cosa sta rispondendo, visto che il fantasma è insolitamente silenzioso in questo momento, dentro il suo corpo e dentro la sua mente. E' l'eco delle sue parole che sta combattendo, in questo momento.

"Cosa si prova a essere un eterno codardo, Cole Morgan? Tu non ci avresti nemmeno provato, al mio posto, a salvare la tua famiglia. Ti saresti fatto pisciare addosso rannicchiato in un angolo per la paura."

<NON E' VERO!> Sta urlando in questo momento e il braccio viene sollevato per scaraventare a terra tutte le cose della scrivania, che cadono a terra con un rumore secco e sonoro. Non si rompe niente, la lampada ancora attaccata alla presa. Questa furia cieca non è di Abe Mayfair, questa volta. E' la furia disperata di un ragazzo di nome Cole.

<Non è vero...> Gli occhi si rigano di lacrime quando cade a terra, piangendo silenziosamente e soffocando la sua voce in alcuni singhiozzi. Un'occhiata viene data a una corda sopra una mensola, prima di tornare a terra. <Ce la posso fare... Ce la posso fare...> Prova a ripetere in continuazione. Prima che la voce della ragazza gli torni in mente.

"«N-no... Ti prego... Ti.. Ti prego...» 

"Sì, Cole Morgan. Sei stato, sei e sempre sarai solo un Codardo."




lunedì 10 aprile 2017

Dies Irae.


Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla. 


Cole ha 16 anni. Lo specchio del salotto gli restituisce la propria immagine: quella di un ragazzo piccolo, un pò rachitico, con la solita espressione vuota e lo sguardo storto che rivolge al mondo esterno. Distoglie lo sguardo dallo specchio e inizia a camminare lentamente verso il corridoio, diretto verso la parte più interna di casa Morgan.


"Dentro. Vai dentro con la lurida progenie, mostro."

La voce di suo padre la sente forte e chiara e per un attimo si ferma, contemplando le possibilità. Avanza però quasi subito, affrettando il passo e andando verso la fine del corridoio.

LI gradini che portano alla porta della cantina le salta tre per volta, il respiro che si fa più affannoso quando arriva davanti alla figura del proprio padre.

Jacob Morgan ha una cintura in mano, che usa per colpire Martha con la cinghia, più volte, senza fermarsi. Dietro Martha ci sono dei bambini troppo piccoli per fare qualcosa ma che Cole riconosce come i suoi cuginetti, da parte di sua madre.

"Ti prego, chiudi me ma non loro..."

"Ti ho detto. Di andare. Dentro." 


LA voce di Jacob Morgan è perentoria, autoritaria. La voce di un generale abituato a farsi obbedire da chiunque, persino dalla propria moglie. E Martha è praticamente troppo fragile, troppo vecchia per fare qualcosa per fermarlo.

"Lasciali...lasciali stare."
La voce di Cole, per quanto il tono di voce sia incerto e poco sicuro di sè, sovrasta per un attimo quella del padre. Facendo qualche passo per mettersi tra sua madre e suo padre, le braccia alzate e un espressione determinata, per quanto possa essere determinata l'espressione di un bambino.


Ma dura solo per un secondo.

"Credi veramente che un ragazzino come te possa decidere qualcosa?"
Il colpo di cintura non se l'aspetta e lo colpisce dritto al viso. Le ginocchia si piegano e il busto si abbassa, l'espressione che si trasfigura in un espressione di dolore. Malgrado questo la testa si rialza, guardando suo padre.


"Non li...non li toccare."

"Abominio. Mostro. Tu, tua madre, la tua razza, quelli come te. Invertiti e mostri. La morte è l'unica cosa che vi libererà dal peccare contro Dio e gli Uomini, Cole." 


La faccia di Jacob Morgan cambia in un espressione disgustata che va da un angolo all'altro della sua testa. La cintura viene calato e Cole viene colpito ancora una volta. E ancora. E ancora. E ancora. La voce di Jacob diventa insolitamente calma e tranquilla, come se non lo stesse picchiando.

"Non ti preoccupare. Salverò te e tua madre da tutto questo. Vi salverò da voi stessi e davanti a Dio non avremo rimpianti, nè peccati. La vostra natura mi ha costretto a tutto questo. Ricordalo Cole. E' tutta colpa tua."


Un altro colpo. Ancora. E ancora. Cole geme ma non c'è nulla da fare. Non può aiutare sua madre. Non può aiutare se stesso.

Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.

"Aiutami a ucciderli tutti, Cole."



Cole si sveglia di soprassalto, urlando nel letto della sua stanza. Si rende conto solo in quel momento che il lenzuolo a terra e lui è tutto sudato, al sicuro nella sua stanza. L'incubo viene ricordato subito dal ragazzo, l'espressione disgustata del padre che si mischia a quella già vista quel giorno del ringraziamento, nella sala da pranzo. E la voce di Abe Mayfair che termina il sogno, ancora nelle sue orecchie. Trema il ragazzo, cercando di afferrare il lembo del lenzuolo a terra per portarselo tra le gambe. Si mette di lato, fianco poggiato sul materasso.

Guarda l'oscurità con sguardo confuso, non osando più chiudere gli occhi se non dopo parecchi minuti. Un sospiro viene soffocato, insieme a un piccolo sussurro.

"Dio...che cosa ho fatto?"


Dies Irae. Dies Illa.



venerdì 7 aprile 2017

Stanco.





"Stai perdendo così tanto tempo a logorarti nella tua mente, nei pensieri, nei ricordi e nelle paure che non riesci a vedere le occasioni che ti passano davanti... non riesci a vedere quanto tu possa essere felice per una volta perchè non sai riconoscere la felicità..."
"Come fai a dire che non è così, che non provi la stessa cosa, se non ti dai una possibilità?" 
"I diritti dei superumani sono riconosciuti a livello internazionale, non mi sembra un tema ormai più attuale. Ci sono molte organizzazioni, così come il Partito Democratico, che fanno di questi principi una crociata, ma personalmente è nient'altro che una speculazione per raccimolare i voti di alcune classi del paese." 
Alla Scuola rimprovero la codardia, prima di ogni altra cosa. Le rimprovero di non riuscire a vedere oltre le proprie mura: si sono accaparrati il privilegio di poter usare i propri poteri liberamente, mentre avrebbero dovuto lottare perché fosse riconosciuto come un diritto a tutti i superumani di questo paese. Avrebbero dovuto essere più lungimiranti di così, e adesso è troppo tardi.
 

Diario di Cole, pagina 144


Sono sempre più stanco.

Ogni volta che leggo il Doubter la stanchezza sembra aumentare e ogni volta che torno in camera e provo a rilassarmi tutto il resto mi piomba addosso come un macigno.
Forse ha ragione Connor. Forse non riesco semplicemente a riconoscere la felicità perchè sono troppo occupato a preoccuparmi. A pensare.
A pensare a Ellery, che non so come approcciare. A pensare a mia madre, che continua a riempirmi di messaggi di avvertimento. A pensare a mio padre, che non sento dal giorno del Ringraziamento. A pensare alle Elezioni e alla terribile idea che i Repubblicani vincano di nuovo. A pensare alla Scuola e come dovremmo comportarci.

Sono stanco.

Voglio solo un attimo di pace. Fuori dalla finestra piove e la cosa mi fa stare bene. Sentire il rumore della pioggia che colpisce il vetro mi ha sempre fatto stare bene, in fondo. Quando ero a casa, con i miei genitori, la amavo perchè mi piaceva stare al sicuro. Pensare di essere in un luogo scevro da pericoli, senza rischiare di bagnarmi.
Adesso è diverso. Mi piace perchè so che volendo potrei uscire da quella finestra e bagnarmi, senza avere paura di rischiare.

Perchè in questo sono cambiato e in molto altro no?


Sono stanco. E la situazione non migliorerà.
Dovrò essere io a farlo.