lunedì 10 aprile 2017

Dies Irae.


Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla. 


Cole ha 16 anni. Lo specchio del salotto gli restituisce la propria immagine: quella di un ragazzo piccolo, un pò rachitico, con la solita espressione vuota e lo sguardo storto che rivolge al mondo esterno. Distoglie lo sguardo dallo specchio e inizia a camminare lentamente verso il corridoio, diretto verso la parte più interna di casa Morgan.


"Dentro. Vai dentro con la lurida progenie, mostro."

La voce di suo padre la sente forte e chiara e per un attimo si ferma, contemplando le possibilità. Avanza però quasi subito, affrettando il passo e andando verso la fine del corridoio.

LI gradini che portano alla porta della cantina le salta tre per volta, il respiro che si fa più affannoso quando arriva davanti alla figura del proprio padre.

Jacob Morgan ha una cintura in mano, che usa per colpire Martha con la cinghia, più volte, senza fermarsi. Dietro Martha ci sono dei bambini troppo piccoli per fare qualcosa ma che Cole riconosce come i suoi cuginetti, da parte di sua madre.

"Ti prego, chiudi me ma non loro..."

"Ti ho detto. Di andare. Dentro." 


LA voce di Jacob Morgan è perentoria, autoritaria. La voce di un generale abituato a farsi obbedire da chiunque, persino dalla propria moglie. E Martha è praticamente troppo fragile, troppo vecchia per fare qualcosa per fermarlo.

"Lasciali...lasciali stare."
La voce di Cole, per quanto il tono di voce sia incerto e poco sicuro di sè, sovrasta per un attimo quella del padre. Facendo qualche passo per mettersi tra sua madre e suo padre, le braccia alzate e un espressione determinata, per quanto possa essere determinata l'espressione di un bambino.


Ma dura solo per un secondo.

"Credi veramente che un ragazzino come te possa decidere qualcosa?"
Il colpo di cintura non se l'aspetta e lo colpisce dritto al viso. Le ginocchia si piegano e il busto si abbassa, l'espressione che si trasfigura in un espressione di dolore. Malgrado questo la testa si rialza, guardando suo padre.


"Non li...non li toccare."

"Abominio. Mostro. Tu, tua madre, la tua razza, quelli come te. Invertiti e mostri. La morte è l'unica cosa che vi libererà dal peccare contro Dio e gli Uomini, Cole." 


La faccia di Jacob Morgan cambia in un espressione disgustata che va da un angolo all'altro della sua testa. La cintura viene calato e Cole viene colpito ancora una volta. E ancora. E ancora. E ancora. La voce di Jacob diventa insolitamente calma e tranquilla, come se non lo stesse picchiando.

"Non ti preoccupare. Salverò te e tua madre da tutto questo. Vi salverò da voi stessi e davanti a Dio non avremo rimpianti, nè peccati. La vostra natura mi ha costretto a tutto questo. Ricordalo Cole. E' tutta colpa tua."


Un altro colpo. Ancora. E ancora. Cole geme ma non c'è nulla da fare. Non può aiutare sua madre. Non può aiutare se stesso.

Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.

"Aiutami a ucciderli tutti, Cole."



Cole si sveglia di soprassalto, urlando nel letto della sua stanza. Si rende conto solo in quel momento che il lenzuolo a terra e lui è tutto sudato, al sicuro nella sua stanza. L'incubo viene ricordato subito dal ragazzo, l'espressione disgustata del padre che si mischia a quella già vista quel giorno del ringraziamento, nella sala da pranzo. E la voce di Abe Mayfair che termina il sogno, ancora nelle sue orecchie. Trema il ragazzo, cercando di afferrare il lembo del lenzuolo a terra per portarselo tra le gambe. Si mette di lato, fianco poggiato sul materasso.

Guarda l'oscurità con sguardo confuso, non osando più chiudere gli occhi se non dopo parecchi minuti. Un sospiro viene soffocato, insieme a un piccolo sussurro.

"Dio...che cosa ho fatto?"


Dies Irae. Dies Illa.



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