venerdì 26 gennaio 2018

Pills

Non a te, Cole Brandon Morgan. 

Le parole finali di Nevermore gli lasciano una sensazione di strana familiarità, così come l'uso del suo secondo nome, quasi dimenticato dal ragazzo.
Quando si trova nella sua camera può finalmente tirare un sospiro sollievo, togliendosi la maglietta e buttandosi a letto. Non può resistere questa volta, e neanche vuole: la pillola va giù fino al suo stomaco e Cole lascia al tranquillante il tempo di fare effetto.

Quella sensazione di calma artificiale arriva dopo un pò, lasciandogli lo stessa sensazione strana di ogni volta. Senza Danny che condivide con lui gli spazi Cole può stendersi a letto senza muoversi, senza cercare di doversi giustificare in qualche modo.

Le immagini dei giorni precedenti gli tornano alla mente, non richieste:

L'uomo con il cranio fracassato che si rialza, tranquillo, come se niente fosse.

La sensazione di freddo vuoto a leggere la sua mente, la Morte che continua a fare capolino nelle sue sensazioni come anni fa.

Gli uomini che sparano alla Soldiers da quella jeep fracassata, lo sparo dalla pistola di Iphigenia, la discussione mal nascosta sull'attaccare o meno.

Sospira piano e continua a starsene fermo e immobile, lasciando che quel paradiso artificiale faccia sempre più effetto.

"Sogni...contro Incubi."

Lo ripete più volte, come fosse un mantra. Lo è diventato, da quella riunione.
Quella sera, però, è un altro fallimento.
Lo sa e lo accetta. Ogni volta che prende quelle pillole è come ricevere un'altra sfuriata di Maximillian, un altro sguardo deluso da parte di Brendan.

Ma la vita è fatta di piccoli fallimenti.
Domani è un altro giorno e cercherà di fare meglio. Ancora una volta.
La seconda pillola la prende quasi con un tentativo di ottimismo, abbandonandosi definitivamente ad essa.





giovedì 11 gennaio 2018

Day 0.

"La minestra è buona."
"......ne sono contento."


"........"
".....Danny?"


"Sì?"

"....ti ricordi quanto ti ho detto che non avremmo mai parlato del passato?"
"....sì. Ho sbagliato qualcosa?"


"No. Ma mi rimangio quelle parole."

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Erano i tempi della guerra contro Magnus. Spesso non si capiva più nulla: tra civili presi dal panico e alieni che cercavano di distruggere il loro pianeta, neanche chi combatteva per salvarlo riusciva a capire bene dove doveva stare e contro cosa doveva combattere.

"Cole, hanno fatto ritirare tua madre in quel mercato sotterraneo, insieme alle persone di quel quartiere. Assicurati che stia bene. Subito."

Suo padre non gli aveva mai scritto nè parlato. Mai, da quando l'aveva cacciato di casa. Non gli aveva mandato un sms quando gli universi paralleli stavano per collidere, non l'aveva fatto quando la YGS si era schierata con la Force per combattere Magnus e non l'aveva fatto neanche quando era stato posseduto da un fantasma. Non che lui l'avesse mai saputo, ovviamente.

Per questo aveva obbedito istantaneamente. Se suo padre gli aveva scritto era seriamente preoccupato per sua madre. Anche in quell'occasione, sarebbe morto prima di contattarlo. 

Passava di fronte a una clinica mentre cercava di evitare civili presi dal panico ed aiutare quelli che poteva. Non aveva sicuramente molto tempo: sarebbe stata questione di minuti prima che il bracciale al polso cominciasse a indicare una chiamata da parte della YGS. Malgrado questo, però, si fermò quando notò un ragazzino seduto con le braccia sulle ginocchia, la schiena appoggiata al muro. Le lacrime erano evidenti ma nessuno lo stava aiutando.

"....Ehi."
"....."
"....Ehi. Ti sei perso? Hai bisogno d'aiuto? Dove sono i tuoi genitori?"
"....non lo so. Non erano più a casa."

"...hanno portato le persone di questo quartiere da un'altra parte. Sono sicuro che i tuoi genitori sono lì. Seguimi!"

Cole prese il braccio del ragazzino in fretta e furia, costringendolo quasi a seguirlo. Continuava anche a parlare a perdifiato, cercando di velocizzare il suo passo.

"Come ti chiami? Quanti anni hai?"
"Danny. Ne faccio undici tra poco."

"Perfetto Danny, io sono Cole. Sono sicuro che i tuoi genitori ti stanno cercando, ok? Ora li troviamo."
"...."

Le lacrime del ragazzino non si erano arrestate ma stava per fortuna seguendo il ragazzo. Cole riuscì solo a fare qualche metro verso l'entrata del quartiere sotterraneo, andando verso il mercato, pensando al tempo che stava perdendo a fare quanto richiesto dal padre. Se qualcuno della YGS si fosse fatto male perchè aveva fatto quella deviazione, non se lo sarebbe mai perdonato.

Il botto lo sentì forte, prima di essere scaraventato indietro.
Strinse più forte il braccio altrui, prima di perdere del tutto il contatto con il bambino.

Giorni dopo, quando il governo pubblicò l'elenco dei 46 morti per via della perdita di controllo del mutante bipolare, tutto quello che riuscì a pensare era che il cognome di sua madre, O' Connell, suonava meno stonato di " Agatha Morgan" davanti al nome di sua madre. 

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Cole gli raccontò tutto.
Della YGS, dei poteri, dei fantasmi, degli universi, di Magnus. Di sua madre e di suo padre. Anche di cose che un ragazzino di tredici anni non dovrebbe sapere.

"...e adesso?"

Non riuscì a confessare a Danny che si poneva la stessa domanda.

E adesso?


domenica 24 dicembre 2017

Who are you?


 24 Dicembre - 21:00
"Durante la colluttazione, l'attivista politica ed ex conduttrice radiofonica Mirabe Sherman è stata vista prendere le difese dei metaumani aggressori, impiegando le sue ali per ostacolare l'azione della SCF, ed infine arrestata per intralcio alla giustizia."


"La conosci?"

"......."

"Perchè non mi parli mai di quello che facevi prima?"

"Perchè è passato."

"E noi non parliamo del passato. Il passato fa male."

"Bravo."

"Hai parlato con i tuoi amici, oggi?"

"......Forse ci aiuteranno a trovare una casa."

"......mi dispiace per ieri."

"....."

"...non volevo dire quelle cose. Non brucerò più il letto. Giuro."

"....non è colpa tua, Danny."

"Ma hai preso tante di quelle cose arancioni, dopo."

"Anche questo non è colpa tua, Danny."

"Lo dici sempre ma poi alla fine è sempre colpa mia."

"Ripeto, non è colpa tua."

"......"

".....tu e quel superumano non siete la stessa persona. Non ucciderai nessuno."

"...non l'ho detto."

"L'hai pensato."

"..."

24 Dicembre ore 22:56

"...posso chiederti una cosa?"

"Dimmi."

"I tuoi genitori sono morti come i miei?"

"......"

"Neanche l'anno scorso è venuto qualcuno a festeggiare con noi, a Natale."

"...non apri il tuo regalo, Danny?"

"....Oh. E' una macchina radiocomandata. Grazie."

"Buon natale, Danny."

"Buon natale."

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"....Cole?"

"......"

"...A volte spero di svegliarmi in un posto diverso. Che mamma e papà non siano morti e che tutto vada bene."

"....anche io Danny. Anche io."











mercoledì 26 aprile 2017

Codardo.

Cole arriva all'interno della propria camera appena in tempo per evitare le persone che stanno per scendere. E' bagnato dalla cima ai piedi, un dolore pulsante che gli pervade il petto. I vestiti sono fradici e non ha neanche la forza di toglierli in questo momento, mentre sente dietro di sè i passi dei professori e degli studenti andare avanti per il corridoio.

"Codardo."
"
«N-no... Ti prego... Ti.. Ti prego...» 
"«COLE! NO!» 

Si mette le mani sopra le orecchie, cercando disperatamente di non ricordare, di non evocare nessun suono, di non pensare a niente. A nulla. Il silenzio, che ha tanto desiderato. Ma le parole continuano ad arrivare e i ricordi scorrono dentro la sua testa, uno dietro l'altro. Luke. La cameriera. Il fucile a pallettoni. 
Le sue mani intorno alla sua gola.

"Cosa si prova a essere un eterno codardo, Cole Morgan?" 

Le sue mani intorno alla sua gola.

Si tappa ancora più forte le orecchie, cercando disperatamente di non ripensare al posto dal quale è appena fuggito. Alle parole di Abe dentro la sua testa che continuano a riemergere dai suoi ricordi. All'urlo di Luke e alle parole terrorizzate della ragazza sotto le sue mani, mentre prega semplicemente per la sua vita.
<Smettila...Smettila...> Ripete stile mantra, avvicinandosi alla scrivania, le mani ancora pressate sulle orecchie.

"Codardo. Ad affidarti sempre a chi è più forte di te. A lasciare che siano gli altri a sudare. Sempre in seconda fila, mai a rischiare per primo. "

<Non è vero. Non è...vero.> Non sa neanche lui a cosa sta rispondendo, visto che il fantasma è insolitamente silenzioso in questo momento, dentro il suo corpo e dentro la sua mente. E' l'eco delle sue parole che sta combattendo, in questo momento.

"Cosa si prova a essere un eterno codardo, Cole Morgan? Tu non ci avresti nemmeno provato, al mio posto, a salvare la tua famiglia. Ti saresti fatto pisciare addosso rannicchiato in un angolo per la paura."

<NON E' VERO!> Sta urlando in questo momento e il braccio viene sollevato per scaraventare a terra tutte le cose della scrivania, che cadono a terra con un rumore secco e sonoro. Non si rompe niente, la lampada ancora attaccata alla presa. Questa furia cieca non è di Abe Mayfair, questa volta. E' la furia disperata di un ragazzo di nome Cole.

<Non è vero...> Gli occhi si rigano di lacrime quando cade a terra, piangendo silenziosamente e soffocando la sua voce in alcuni singhiozzi. Un'occhiata viene data a una corda sopra una mensola, prima di tornare a terra. <Ce la posso fare... Ce la posso fare...> Prova a ripetere in continuazione. Prima che la voce della ragazza gli torni in mente.

"«N-no... Ti prego... Ti.. Ti prego...» 

"Sì, Cole Morgan. Sei stato, sei e sempre sarai solo un Codardo."




lunedì 10 aprile 2017

Dies Irae.


Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla. 


Cole ha 16 anni. Lo specchio del salotto gli restituisce la propria immagine: quella di un ragazzo piccolo, un pò rachitico, con la solita espressione vuota e lo sguardo storto che rivolge al mondo esterno. Distoglie lo sguardo dallo specchio e inizia a camminare lentamente verso il corridoio, diretto verso la parte più interna di casa Morgan.


"Dentro. Vai dentro con la lurida progenie, mostro."

La voce di suo padre la sente forte e chiara e per un attimo si ferma, contemplando le possibilità. Avanza però quasi subito, affrettando il passo e andando verso la fine del corridoio.

LI gradini che portano alla porta della cantina le salta tre per volta, il respiro che si fa più affannoso quando arriva davanti alla figura del proprio padre.

Jacob Morgan ha una cintura in mano, che usa per colpire Martha con la cinghia, più volte, senza fermarsi. Dietro Martha ci sono dei bambini troppo piccoli per fare qualcosa ma che Cole riconosce come i suoi cuginetti, da parte di sua madre.

"Ti prego, chiudi me ma non loro..."

"Ti ho detto. Di andare. Dentro." 


LA voce di Jacob Morgan è perentoria, autoritaria. La voce di un generale abituato a farsi obbedire da chiunque, persino dalla propria moglie. E Martha è praticamente troppo fragile, troppo vecchia per fare qualcosa per fermarlo.

"Lasciali...lasciali stare."
La voce di Cole, per quanto il tono di voce sia incerto e poco sicuro di sè, sovrasta per un attimo quella del padre. Facendo qualche passo per mettersi tra sua madre e suo padre, le braccia alzate e un espressione determinata, per quanto possa essere determinata l'espressione di un bambino.


Ma dura solo per un secondo.

"Credi veramente che un ragazzino come te possa decidere qualcosa?"
Il colpo di cintura non se l'aspetta e lo colpisce dritto al viso. Le ginocchia si piegano e il busto si abbassa, l'espressione che si trasfigura in un espressione di dolore. Malgrado questo la testa si rialza, guardando suo padre.


"Non li...non li toccare."

"Abominio. Mostro. Tu, tua madre, la tua razza, quelli come te. Invertiti e mostri. La morte è l'unica cosa che vi libererà dal peccare contro Dio e gli Uomini, Cole." 


La faccia di Jacob Morgan cambia in un espressione disgustata che va da un angolo all'altro della sua testa. La cintura viene calato e Cole viene colpito ancora una volta. E ancora. E ancora. E ancora. La voce di Jacob diventa insolitamente calma e tranquilla, come se non lo stesse picchiando.

"Non ti preoccupare. Salverò te e tua madre da tutto questo. Vi salverò da voi stessi e davanti a Dio non avremo rimpianti, nè peccati. La vostra natura mi ha costretto a tutto questo. Ricordalo Cole. E' tutta colpa tua."


Un altro colpo. Ancora. E ancora. Cole geme ma non c'è nulla da fare. Non può aiutare sua madre. Non può aiutare se stesso.

Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.

"Aiutami a ucciderli tutti, Cole."



Cole si sveglia di soprassalto, urlando nel letto della sua stanza. Si rende conto solo in quel momento che il lenzuolo a terra e lui è tutto sudato, al sicuro nella sua stanza. L'incubo viene ricordato subito dal ragazzo, l'espressione disgustata del padre che si mischia a quella già vista quel giorno del ringraziamento, nella sala da pranzo. E la voce di Abe Mayfair che termina il sogno, ancora nelle sue orecchie. Trema il ragazzo, cercando di afferrare il lembo del lenzuolo a terra per portarselo tra le gambe. Si mette di lato, fianco poggiato sul materasso.

Guarda l'oscurità con sguardo confuso, non osando più chiudere gli occhi se non dopo parecchi minuti. Un sospiro viene soffocato, insieme a un piccolo sussurro.

"Dio...che cosa ho fatto?"


Dies Irae. Dies Illa.



venerdì 7 aprile 2017

Stanco.





"Stai perdendo così tanto tempo a logorarti nella tua mente, nei pensieri, nei ricordi e nelle paure che non riesci a vedere le occasioni che ti passano davanti... non riesci a vedere quanto tu possa essere felice per una volta perchè non sai riconoscere la felicità..."
"Come fai a dire che non è così, che non provi la stessa cosa, se non ti dai una possibilità?" 
"I diritti dei superumani sono riconosciuti a livello internazionale, non mi sembra un tema ormai più attuale. Ci sono molte organizzazioni, così come il Partito Democratico, che fanno di questi principi una crociata, ma personalmente è nient'altro che una speculazione per raccimolare i voti di alcune classi del paese." 
Alla Scuola rimprovero la codardia, prima di ogni altra cosa. Le rimprovero di non riuscire a vedere oltre le proprie mura: si sono accaparrati il privilegio di poter usare i propri poteri liberamente, mentre avrebbero dovuto lottare perché fosse riconosciuto come un diritto a tutti i superumani di questo paese. Avrebbero dovuto essere più lungimiranti di così, e adesso è troppo tardi.
 

Diario di Cole, pagina 144


Sono sempre più stanco.

Ogni volta che leggo il Doubter la stanchezza sembra aumentare e ogni volta che torno in camera e provo a rilassarmi tutto il resto mi piomba addosso come un macigno.
Forse ha ragione Connor. Forse non riesco semplicemente a riconoscere la felicità perchè sono troppo occupato a preoccuparmi. A pensare.
A pensare a Ellery, che non so come approcciare. A pensare a mia madre, che continua a riempirmi di messaggi di avvertimento. A pensare a mio padre, che non sento dal giorno del Ringraziamento. A pensare alle Elezioni e alla terribile idea che i Repubblicani vincano di nuovo. A pensare alla Scuola e come dovremmo comportarci.

Sono stanco.

Voglio solo un attimo di pace. Fuori dalla finestra piove e la cosa mi fa stare bene. Sentire il rumore della pioggia che colpisce il vetro mi ha sempre fatto stare bene, in fondo. Quando ero a casa, con i miei genitori, la amavo perchè mi piaceva stare al sicuro. Pensare di essere in un luogo scevro da pericoli, senza rischiare di bagnarmi.
Adesso è diverso. Mi piace perchè so che volendo potrei uscire da quella finestra e bagnarmi, senza avere paura di rischiare.

Perchè in questo sono cambiato e in molto altro no?


Sono stanco. E la situazione non migliorerà.
Dovrò essere io a farlo.


domenica 19 febbraio 2017

Let it go.

Cole aveva ancora i capelli umidi quando accese il caminetto della Sala Comune, indossando i soliti vestiti. Vestiti senza alcun gusto secondo Ellery ma a Cole poco importava: erano i suoi vestiti.

Non avrei dovuto dubitarne.
ti aspetto.

Mentre ripensava al messaggio non potè fare altro che stringere più a sè quella foto che teneva in mano. Ricordava perfettamente quando l'aveva scattata: era stato quando si era reso veramente conto che poteva essere qualcosa di diverso del classico Cole che obbediva senza fare domande ai genitori, del Cole che doveva sempre dimostrare di non essere "diverso", "come quegli sporchi mutanti". 

Quando c'era Blaise.

Era difficile non pensare al telecineta, per quanto avesse convinto tutti del contrario. E per motivi che non erano sempre riconducibili a quella parola: "amore".
Blaise era stato il primo ad aver creduto in lui. Il primo ad averlo spinto a fare qualcosa di diverso, a essere qualcuno di completamente diverso. Per quanto fosse arrivato dopo di lui a scuola, era sempre sembrato a Cole che fosse lui, lo studente più grande.

E per questo era dannatamente difficile lasciarlo andare.

Non fisicamente, nè sentimentalmente. Blaise era già andato via da tempo da quella scuola.
Ma più il tempo passava, più sembrava difficile per Cole pensare che sarebbe potuto essere migliore senza Blaise. Senza il telecineta che lo spronava, che gli dava coraggio, che lo convinceva di essere nel giusto.
Poi erano successe tante cose: Lydia, Connor, Ellery, la fiducia di Brendan e Maximillian. L'Apocalisse sventata. 
Perchè non bastavano a convincerlo? Perchè in alcuni momenti una parte di lui voleva ancora il consiglio del telecineta?

La mano con la foto si avvicinò al caminetto e Cole lasciò andare la foto verso le fiamme, guardando accartocciarsi il proprio volto e quello del Telecineta. Restò lì un pò di tempo, fino a quando la foto non divenne che cenere. E anche oltre, fino a quando non gli venne in mente il volto del Froster.

"E' tempo di lasciarti andare, Blaise."

Disse soltanto, allontanandosi verso la propria stanza.

I used to recognize myself
It's funny how reflections change
When we're becoming something else
I think it's time to walk away

So come on let it go
Just let it be
Why don't you be you
And I'll be me

Everything's that's broke
Leave it to the breeze
Let the ashes fall
Forget about me